*** L'INTIMA NATURA DELL'ORRORE ***

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Hosmantus
00sabato 27 maggio 2006 09:39


"Verranno tempi, nella storia dell'umanità, in cui ogni mistero sarà svelato, in cui le radici di ogni leggenda vedranno la luce. Allora ai nostri occhi compariranno civiltà perdute, edifici modellati dal tempo; le nostre orecchie udranno suoni antichi, lingue sconosciute, nomi dimenticati. O, forse, la Terra morirà e porterà con sé i suoi segreti, alla fine del Tempo, e tutto sarà dimenticato... per sempre."


"Il sentimento più forte e più antico dell' animo umano è la paura,
e la paura più grande è quella dell' ignoto"



Horror è una parola di origine latina e significa orrore; ma a quale orrore si ispirano gli scrittori del genere per realizzare i loro libri? Mentre la paura è un campanello d’allarme primitivo che permette ad ogni animale di allontanarsi da una fonte di pericolo, l’orrore è un sentimento più complesso, prettamente umano, che coinvolge l’intelletto e che atterrisce a tal punto da poter arrivare ad impedire la fuga. Si può avere paura di un insetto e quindi fuggire o schiacciarlo; oppure si può averne orrore, esserne non solo terrorizzati, ma vederlo con occhi che vanno oltre la fisicità, immaginando tutti i modi in cui quell’insetto potrebbe nuocere, anche quelli impossibili. L’orrore nasce dall’ignoto, dall’immaginazione di quel che potrebbe essere e che spesso non è; terrore di qualcosa che non solo potrebbe far male al nostro corpo, ma che potrebbe corrompere la nostra anima.



Molti sono gli scrittori di libri horror, ma pochi sono quelli capaci di creare un universo in cui l’Orrore regni sovrano. Uno di questi ultimi è Howard Phillips Lovecraft, nato nel 1890 a Providence, una cittadina degli Stati Uniti. Entrambi i suoi genitori furono ricoverati in manicomio, in tempi diversi; la madre fu molto oppressiva con lui, al punto che arrivò a non permettergli di finire di frequentare le scuole superiori. Si sposò e divorziò. Fu uno scrittore prolifico e pare che la mole di lettere che scrisse a varie persone (tra cui molti scrittori) sia enorme. Morì a 47 anni a causa di un tumore all’intestino.


E’ stato soprannominato “Il solitario di Providence”, “Il Maestro”; ha creato un universo in cui gli dei non si curano quasi per nulla del destino dell’umanità, in cui l’uomo è solo il più giovane essere senziente apparso in ordine di tempo. Quello creato da Lovecraft è un universo in cui la terra è stata raggiunta in epoche preistoriche da esseri provenienti dallo spazio siderale e la cui intelligenza e le cui intenzioni sono talmente aliene per l’umanità, che sarebbe molto meglio rimanere all’oscuro della loro esistenza.
Ogni singola entità aliena viene solo suggerita nei racconti e nei brevi romanzi di Lovecraft: l’orrendo Cthulhu, che dorme nelle profondità dell’oceano e che si insinua nei sogni degli esseri umani, inondando le loro fragili menti col suo alieno richiamo; l’innominabile Yog-Sothoth, che si intuisce essere un’enorme ameba perlescente e la cui sola vista può procurare la follia; il raccapricciante Nyarlathotep, il Caos Strisciante, il cui unico scopo è quello di ridurre l’intero universo ad una massa ribollente, viva e fertile di puro caos. Sono solo tre degli innumerevoli esseri partoriti dalla fervida immaginazione di Lovecraft e che hanno ispirato films, canzoni e un gioco di ruolo, The Call of Chtulhu, edito dalla Chaosium.

Lovecraft è riuscito a creare un universo che ancora oggi ispira e affascina migliaia di giovani e meno giovani in tutto il mondo, un universo in cui i veri protagonisti sono loro, i Grandi Antichi, i mostri dal nome impronunciabile, detentori di verità troppo grandi per l’intelletto umano, troppo aliene, così difficili da elencare e spiegare in un semplice articolo, perché i romanzi e i racconti di Lovecraft più che leggerli si sentono, si immaginano.


Pensando all’universo da lui creato riesco a vedere l’uomo ancor prima del maestro, il sognatore ancor prima del mito, ad immaginarlo seduto da solo in un campo, di notte, con lo sguardo rivolto alle stelle, a farsi domande senza nemmeno cercarne le risposte, poiché lui sapeva che tra quei freddi e distanti bagliori c’era qualcosa, lui che amava l’astronomia e che pubblicò a soli 16 anni sul Tribune di Providence una rubrica che trattava di fenomeni astronomici. Tra quei soli lontani, in quel silenzio siderale fatto di plasma, polvere, luce e buio, ci sono i nostri sogni riflessi, le nostre fantasie, i nostri incubi; un intero universo, infinito, alieno, che a guardarlo troppo a lungo si rischia di dimenticare tutto ciò che ci circonda; che, a pensarci si rischia di perdere l’intelletto. Allora perché lui e tanti altri grandi scrittori del genere fantastico, che sondano gli abissi del cosmo e dell’anima, non si sono persi tra le spire della follia? Perché si adoperano a trasmetterci, attraverso le loro opere, la consapevolezza che spazio e tempo sono più di quel che appare, che se ci si riduce a credere solo all’hic et nunc si rischia di perdere gran parte del fascino di questo strano, assurdo universo?


Lovecraft, come tanti altri scrittori del fantastico, aveva un segreto: lui sapeva come muoversi al confine tra il reale e l’immaginario, tra la follia e la saggezza, senza mai cadere, senza mai sbilanciarsi, mirabile equilibrista sul filo dei sogni e dei desideri, perché, per quanto la realtà possa reclamare violentemente la nostra attenzione, la fantasia opporrà altrettanta resistenza, sotto forme diverse, in tempi diversi, con diversi linguaggi; due immortali titani in lotta fino alla fine del Tempo.



Hosmantus
00sabato 27 maggio 2006 20:54
Avventure di orrore e mistero


Un quarto di secolo dopo il genere nero Dylan Dog e Martin Mystère rappresentano l’altra grande novità a livello di montaggio e sceneggiatura. Le storie sono montate in maniera assai creativa; realtà oggettiva e realtà soggettiva (sogni, allucinazioni, ecc.) si mescolano, e la dimensione spazio-temporale assume una sincronicità junghiana: secondo Minelli (1992) la comprensione di questi albi richiede l’elasticità mentale di accantonare la logica causale; in particolare il pensiero dei protagonisti è spesso guidato dalla simultaneità di un determinato stato psichico con uno o più eventi esterni, che sembrano paralleli significativi della condizione momentaneamente soggettiva. Specchio di una generazione che s’interroga sui grandi temi del bene e del male, e che non ha più bisogno di manifestare caratterialità per difendersi dai tratti psicotici. I riferimenti letterari sono molteplici: E.A. Poe, F. Kafka, G. Meyrink, S. Freud e così via; spesso vengono esplicitamente citati.

Gli eroi di questi albi si comportano in maniera assai meno violenta di quelli delle avventure classiche .

Infatti finiscono per prendere più pugni di quanti non ne diano, e sebbene anch’essi si distinguano nel portare con loro assistenti fedeli e singolari, hanno un Super-io molto meno rigido, hanno risolto l’Edipo, e spesso tra un’indagine ed una ricerca si concedono delle avventure sessuali. Le figure femminili che compaiono nelle storie sono generalmente donne indipendenti ed emancipate. Del resto la diffusione di questi albi risale agli anni ’90.

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Hosmantus
00sabato 27 maggio 2006 21:20
Trasmissione radiofonica..
"Le cose che ci fanno soffrire nella realtà, ci recano un sommo piacere se le osserviamo in immagini".


Con queste parole Aristotele, ne "La poetica", enuncia la peculiarità dell'espressione artistica che fa dell'orrore e delle altre forme di paura, una fonte di piacere. Del resto il terrore è nella mitologia e nelle forme artistiche di ogni civiltà umana. Creature mostruose ed esseri sovrannaturali, demoni e forze oscure animano l'immaginario delle più antiche tradizioni popolari, occidentali e non; un immaginario che attinge dal fondo all'animo umano, dalle sue zone d'ombra, dove giace, mai sopita, un'inquietudine esistenziale dinanzi a ciò che gli uomini non riescono a dominare: la morte, il dolore, l'ignoto, l'irrazionale. È su questi elementi che sono cresciute nei secoli le narrazioni fantastiche della letteratura occidentale e si è formata la materia prima delle fiabe, delle poesie, dei racconti, ma anche dell'iconologia e dell'architettura. È singolare che un genere letterario, che fa dell'ombra e dell'irrazionale il proprio ingrediente fondamentale, prenda definitivamente forma proprio nel secolo dei Lumi, in Inghilterra, per poi arrivare ai giorni nostri e trovare una nuova affermazione nel cinema. Si tratta di un'affermazione che va interpretata come una sconfitta della nostra razionalità di uomini occidentali, visto che l'orrore è l'unico modo che abbiamo per esorcizzare i nostri incubi oppure l'animo umano ne prova una inconfessata, ma inesorabile attrazione?


STUDENTE: Ringraziamo il nostro ospite Prof. Marcello Fois e insieme diamo uno sguardo alla scheda introduttiva.



FOIS:Perché questi generi letterari hanno sempre agito da supporto ad un immaginario sociale e quindi sono sempre stati ritenuti non accrescitivi di informazione culturale, letteraria, in quanto tale. Vengono visti come una sorta di medicina sociale che, attraverso il racconto, l'orrore o il noir o il giallo, servono ad addomesticare socialmente. Quindi la letteratura vera e propria è roba per adulti, mentre questa è per lettori bambini.


STUDENTESSA: Il genere horror nasce in Inghilterra, ma in che senso esso appartiene alla cultura anglosassone?


FOIS: Il genere horror fa parte delle diverse culture perché è un modo ancestrale di raccontarsi le storie. Ai bambini si raccontano storie terribili perché imparino delle lezioni, il senso del pericolo, al fine di metterli in guardia rispetto ai problemi della vita. Si può dire che sia iniziato in Inghilterra poiché lì sono nate le prime industrie editoriali, ma non per un motivo culturale. Dunque non esiste un primato della cultura dell'horror, dell'orribile, per lo meno nell'Occidente.


STUDENTESSA: Se un lettore prova paura, dipende dalla capacità dello scrittore di dare un volto alle nostre paure?


FOIS: Ci sono due sfumature da tenere conto. Da una parte è vero che esiste la capacità tecnica di costruire la paura e di costruire la tensione; dall'altra parte però è vero che la permanenza di questa paura dipende da quanto lo scrittore ha saputo coniugare la sua capacità tecnica a quella di concepire la paura in senso primario, in senso primordiale. Per esempio, l romanzo Dr. Jackill e Mr. Hyde di Stevenson è, da questo punto di vista, un romanzo capitale, perché l'autore ha dato un volto alle paure dell'umanità raccontando, in epoca vittoriana, la storia di un doppio che è uno. Egli ha raccontato di noi stessi, della nostra capacità di essere una cosa e l'altra contemporaneamente, impiantando, credo, uno dei pilastri fondamentali della storia dell'horror contemporaneo.


STUDENTESSA: Qual è, secondo Lei, lo schema classico della narrazione dell'horror?


FOIS: È intanto quello di stabilire un accordo preliminare col lettore. Lo schema horror, in particolare, richiede un atto di fiducia da parte del lettore nei confronti dello scrittore, fiducia che deve combinarsi, però, con la capacità del secondo di rendere credibile, al primo, ciò che sta raccontando. Il testo deve essere collegato all'ambiente scientifico del suo tempo in modo tale da far credere che gli eventi accadano veramente. È dentro questo rapporto che si sviluppa il progetto horror in senso tecnico.


STUDENTESSA: Hitchcock diceva: "il muro che separa il terrore dal ridicolo è molto sottile". Lei che cosa ne pensa?


FOIS: Penso che avesse ragione. Hitchcock era un genio nel lavorare sul cognito, su ciò che è assolutamente assodato riuscendo ugualmente a costruire un tipo di paura molto particolare, una paura forse più contemporanea, forse quella più paurosa per noi, che è la paura del quotidiano.


STUDENTESSA: Secondo Lei, qual è il rapporto che intercorre fra il mistero e la paura?


FOIS: Il mistero deve interessare, sostanzialmente. Mistero e paura non sono così strettamente legati. Il mistero lo si trova in un romanzo giallo senza che questo sia necessariamente un genere horror. È un mistero il percorso che nel romanzo Stand by me di Steven King alcuni ragazzi compiono per andare a vedere un cadavere. Si tratta di una metafora del passaggio dall'infanzia, in cui la vita sembra infinita, a uno stato adolescenziale, in cui invece devi renderti conto che la morte è un dato corporeo; esiste, c'è e ti spetterà. Qui abbiamo il mistero e non la paura.


STUDENTESSA: Lei, in quanto scrittore e sceneggiatore, ritiene che sia più facile impaurire attraverso un romanzo o un film? E poi, come cambia la scrittura nelle due forme narrative?


FOIS: Cambia molto di più di quanto non si pensi. Intanto, in un film, ciò che si vuole raccontare lo si mostra attraverso l'immagine, mentre nella scrittura si deve descrivere ogni cosa. Kubrick ha detto: "Sei pagine di descrizione di un paesaggio, al cinema sono un'inquadratura". Ecco, è questo il punto. Questa è la differenza sostanziale. In un libro vengono descritte situazioni complesse che le immagini, invece, risolvono immediatamente.


STUDENTESSA: In che misura un romanzo giallo oppure horror esprime il ritratto di una società? Ad esempio: i personaggi dei Suoi romanzi incarnano dei modelli sociali e le paure di un'intera collettività?


FOIS: Mentre nel giallo si intende scoprire il colpevole grazie all'operato razionale di un investigatore, nell'horror ci si domanda, piuttosto, il motivo di un dato fatto, seguendo i passi più del colpevole che non dell'investigatore. Nel giallo, inoltre, lo scenario può essere benissimo una casa, un salotto, una stanza dov'è capitato il fatto, le persone che vi sono dentro e l'impronta digitale. Nell'horror, invece, e' importante, più che il luogo, l'abitudine delle vittime, la loro abitazione, la città in cui abitano che, spesso, è immaginaria come per Poe. Egli non è mai stato a Parigi quando ha scritto Il duplice delitto de la Rue Morgue, tuttavia ha usato quella città soltanto perché adatta ad una storia che lui voleva raccontare.


STUDENTESSA: Quanto il genere noir è legato a schemi narrativi rigidi e fino a che punto un romanzo giallo, oppure horror, è rinnovabile?


FOIS: E' rinnovabile infinitamente, poiché non esiste lo schema narrativo rigido. L'idea che si impari a scrivere perché esistono degli schemi che sono riproducibili, è un'idea di partenza, è sicuramente una base, ma, poi, gli scrittori che riescono a pubblicare realmente sono quelli che hanno disatteso questo tipo di schemi e li hanno rinnovati. Quando qualcuno di Voi partecipasse a una cosiddetta Scuola di Scrittura Creativa, deve sempre considerarla o pensarla come una sorta di Scuola Guida, in cui si impara una tecnica di base che si può applicare bene solo a patto di dimenticarsela, perché, se ognuno di noi pensasse con calma a tutti i gesti che bisogna fare per guidare una macchina, non riuscirebbe a muoversi. Essi avvengono automaticamente, perché definitivamente acquisiti, ma poi la creatività è un'altra cosa, nella guida così come nella scrittura.


Puntata registrata l' 8 febbraio 2002




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