ANCORA MARIO MONTI

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INES TABUSSO
00domenica 28 agosto 2005 23:08

Corriere della Sera
28 agosto 2005
Il dibattito sul bipolarismo in difficoltà
LE RIFORME AL CENTRO
di MARIO MONTI

«Forse un Centro, se esistesse, avrebbe una più credibile affinità con un
progetto del genere (lo sviluppo in Italia di una moderna economia di mercato),
ma una simile ipotesi sembra sollevare una serie di altri problemi (che superano
la mia capacità di comprensione)». Questa frase sul Corriere della Sera del
12 agosto, brevemente sviluppata in un'intervista sulla Stampa del 21 agosto,
ha dato luogo a un dibattito molto ampio. E' impossibile riprendere qui i
numerosi commenti. A questo stadio vorrei limitarmi ad alcune considerazioni.
E' sorprendente che un'ottantina di righe in tutto, formulate in modo problematico
e da un osservatore che non è una personalità politica, possano avere suscitato
reazioni così numerose e vivaci nel mondo politico e tra i cultori di scienza
della politica. Mi hanno anche colpito, devo dire, le tante manifestazioni
di interesse da parte di privati cittadini. Il problema dell'adeguatezza
del sistema politico italiano a produrre le riforme necessarie per ridare
slancio all'economia sembra essere molto più sentito di quanto fosse finora
apparso nel dibattito pubblico.
Non ho indicato formule politiche o costituzionali. Non mi sfuggono i meriti
del bipolarismo. In particolare dopo i lucidi interventi su queste colonne
di Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco, Piero Ostellino, Michele
Salvati, Giovanni Sartori e Paolo Franchi, è chiaro che il sistema bipolare
rappresenta comunque, a giudizio dei competenti, un passo avanti, anche se
ognuno di loro individua la necessità di migliorarlo e ha idee in proposito.
Forse i miglioramenti necessari non sono marginali se, come scrive Giovanni
Sartori, «siamo riusciti a trasformare il nostro bipolarismo in una grande
frittata che non funziona e che non può funzionare».
Sotto il profilo della capacità di governare l'economia, mi sembra particolarmente
penalizzante una caratteristica del bi-pseudopolarismo come l'abbiamo visto
all'opera in Italia. In un Paese nel quale la cultura politica non attribuisce
alle visioni in materia economica un ruolo «polarizzante», i poli si formano
prevalentemente sulla base di altri, pur importanti, criteri ordinatori di
natura politica e ideologica. Contengono, sia l'uno che l'altro polo, partiti
con visioni economiche eterogenee e talora antitetiche. Su rilevanti questioni
economiche, è frequente che vi siano impostazioni più simili tra i due poli
che entro ciascun polo. Come si può riuscire a mettere in campo tutta la
determinazione che occorre per superare le resistenze corporative di ogni
tipo, se non si può coinvolgere l'appoggio dei «simili dell'altro polo» e
si deve fare i conti con i «diversi del proprio polo»? Non so - altri avranno
certamente le loro idee - se a questa situazione paralizzante si possa rimediare
con un solido partito di Centro liberale, che l'Italia non ha mai avuto,
o con una Grande Coalizione temporanea per rilanciare l'economia, o con un
governo di uno dei due poli, capace però di ricercare e ottenere, su decisioni
necessarie a tale scopo, l'appoggio di una parte del polo antagonista anche
contro l'opposizione di una parte del proprio polo.
E' una diagnosi troppo pessimistica, osservano alcuni. Dopo tutto, il governo
Prodi del 1996, con il decisivo apporto di Carlo Azeglio Ciampi, riuscì a
imprimere un'accelerazione al risanamento finanziario e a condurre l'Italia
nell'euro.
E' vero. E si trattò di un risultato di grande importanza, verso il quale
il governo riuscì a mobilitare gli sforzi di larga parte del mondo politico,
sindacale, imprenditoriale.
Ma allora c'erano circostanze eccezionali: l'obiettivo (l'euro), la scadenza
(i conti del 1997), la sanzione in caso di insuccesso (l'esclusione dall'Europa
della moneta), il giudice (l'Unione europea).
Ciò è tanto vero che, appena conseguito il successo e perciò al venir meno
di questo sistema di pressioni, il governo Prodi venne messo in difficoltà
da alcune componenti del suo stesso polo.
Nei prossimi anni, la capacità dell'Unione europea di indicare obiettivi,
suscitare slanci, sanzionare ritardi sarà - temo - sensibilmente minore.
Ancor più necessario sarà perciò, per le classi dirigenti e in particolare
per il governo, trovare al proprio interno, nei propri convincimenti, la
determinazione per prospettare un disegno per il rilancio dell'economia e
la forza per realizzarlo. Se il sistema politico entro il quale l'Italia
dovrà produrre questo sforzo deve essere il bipolarismo, speriamo che i suoi
difetti vengano emendati rapidamente.
Credo risulti chiaro da queste considerazioni che non ho «nostalgia» del
vecchio Centro, dell'era pre-bi-polare.
Quel Centro, che pure non ha prodotto solo danni, era dedito al consociativismo
più che alla costruzione di una ordinata economia sociale di mercato. A quel
consociativismo partecipavano, dal governo e dall'opposizione, anche uomini
politici che oggi guardano sdegnati a chi dia l'impressione di mettere in
dubbio il bipolarismo.
Consociativismo che, da queste colonne, ho cercato di mettere in luce nei
suoi vari aspetti e di denunciare a partire dagli anni Settanta in numerosi
articoli (raccolti in «Il governo dell'economia e della moneta: contributi
per un'Italia europea (1970-1992)», Longanesi, 1992).
E i poteri forti? Me ne stavo quasi dimenticando! Secondo Franco Giordano,
di Rifondazione comunista, con le mie riflessioni di queste settimane starei
«tramando a favore dei poteri forti, preoccupati di perdere privilegi e profitti».
E La Padania scrive: «Sembrava che non aspettassero altro che l'ordine dei
poteri forti. Appena Mario Monti, a nome dei padroni del vapore, ha espresso
il bisogno del grande centro per "fare le riforme", ecc. ecc.». Devo deludere,
ma anche tranquillizzare, questi fantasiosi osservatori. Di «poteri forti»
mi sono molto occupato, è vero. Poteri forti italiani, europei e mondiali.
Me ne sono occupato nelle mie funzioni di commissario europeo per la concorrenza.
Non credo di averli aiutati a mantenere privilegi.


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