Competenze negli enti locali

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marco panaro
00mercoledì 9 marzo 2005 12:16
Consiglio di Stato sez.V 3/3/2005 n. 832

Nel merito, la questione da decidere consiste nello stabilire la legittimità o meno delle modifiche statutarie, che attribuiscono alla Giunta le determinazioni su“ variazioni o dismissioni di quote di partecipazione in società di capitali non determinanti ai fini del controllo della società” e su “variazioni o dismissioni di quote di partecipazione non determinanti ai fini del controllo delle società partecipate che gestiscono sevizi pubblici”.

Il TAR ha ritenuto tali modifiche illegittime, sul presupposto che l’art. 117 , 2° comma, della Costituzione (nel testo sostituito dall’art. 3 L. cost. 18.10.2001 n.3) ha riservato alla legislazione esclusiva dello Stato, tra l’altro, la materia relativa alla “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”, e che nella stessa direzione si muove l’art. 4 L. 5.6.2003 n.131 (disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18.10.2001, n.3), per aver conferito agli statuti una posizione di secondarietà rispetto alla legge statale in materia di organizzazione pubblica. Con la conseguenza, ad avviso del TAR, che l’art. 42, 2° comma lett. e, D. L.vo 18.8.2000 n.267, come modificato dall’art. 36,comma 12°, L. 28.12.2001 n. 448 ha riservato alla competenza esclusiva dell’organo consiliare ogni determinazione circa la partecipazione comunale in società di capitali, senza alcuna limitazione e con la precisazione, contenuta nella parte finale della norma, che le deliberazioni in ordine agli argomenti enumerati nella disposizione non possono essere adottate nemmeno in via d’urgenza da altri organi del Comune (salvo quelle attinenti a variazioni di bilancio da parte della Giunta). Ha precisato, infine, che il nuovo sistema di riparto di competenze tra Giunta e Consiglio è retto dal principio secondo cui l’organo elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono negli atti fondamentali, tassativamente elencarti nell’art. 42 D. L.vo n.267/2000 e che in tale quadro la definizione della categoria degli atti fondamentali riservati alla competenza del Consiglio comunale è compiuta direttamente dalla legge e non possa essere oggetto di interventi manipolativi medianti atti aventi natura amministrativa, per cui tutti gli atti che compongono il catalogo delle attribuzioni consiliari, tra cui la partecipazione -in qualsiasi forma e misura- dell’ente locale nelle società di capitali, sono per definizione fondamentali, senza che in proposito possa predicarsene l’ascrizione ad una diversa categoria in applicazione di un criterio finalistico fondato sulla non incidenza della dismissione sul controllo della società.

Il Comune, a sua volta, dopo aver rilevato che il TAR si era fatto fuorviare dall’intenzione avuta da coloro che avevano predisposto i lavori preparatori delle modifiche statutarie e che comunque non aveva correttamente inteso il contenuto di tali modifiche, ha precisato che vi è assoluta corrispondenza tra le disposizioni di legge e le disposizioni statutarie, essendosi limitato il Consiglio, nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 6, 2° comma, D. L.vo n.267/2000, a specificare le attribuzioni degli organi comunali, chiarendo il significato di atto fondamentale in ordine all’organizzazione dei pubblici servizi nel rispetto dei principi di cui al T.U. delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali, specificazione che è assegnata espressamente allo Statuto; che inoltre è insussistente una riserva di legge in tema di riparto di competenze tra organi comunali, che peraltro sarebbe contrastante con il potere statutario dei Comuni; né può sostenersi che la ripartizione delle competenze tra Consiglio e Giunta sia assolutamente rigida in considerazione del potere statutario previsto dall’art. 114, 2° comma, Cost.; che l’attribuzione espressa alla Giunta di competenze in materia di atti di gestione delle partecipazioni azionarie, che non hanno valore determinante ai fini del controllo societario, non esclude il potere di indirizzo e controllo strategico assegnato al Consiglio comunale;

Le doglianze del Comune non possono essere accolte, secondo quanto appresso precisato.

Occorre innanzitutto inquadrare la questione da un punto di vista costituzionale, prendendo in considerazione, per quanto interessa, gli artt. 114 e 117 Cost. nel testo attuale.

E’ pur vero secondo quanto evidenziato dal Comune che l’art. 114, 2° comma, Cost. consacra l’autonomia degli enti locali, con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione, ma poi l’art. 117 Cost., nel ripartire la competenza legislativa tra Stato e Regioni, attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali dei Comuni, Province e Città metropolitane”.

Con la conseguenza che la determinazione degli organi di governo dei Comuni, con le connesse sfere di competenza, appartiene in via esclusiva alla legislazione statale, tanto è vero che tra i criteri per la delega al Governo per la revisione delle disposizioni in materia di enti locali per adeguarle alla legge costituzionale n. 3/2001 (delega da esercitare entro il 31.12.2005) è stato inserito quello per la “valorizzazione della potestà statutaria e regolamentare dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane” (art. 2 L. n.131/2003 e successive modificazioni).

In tale quadro costituzionale, va correttamente interpretato l’art. 6, 2° comma, D. L.vo n.267/2000, che a proposito degli statuti comunali e provinciali, statuisce, per quanto interessa, che “lo statuto, nell’ambito dei principi fissati dal presente testo unico, stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi, le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio”.

Pertanto, tenendo anche conto di quanto ritenuto dalla Corte cost. nella sentenza n. 17 del 16.1.2004, punto 6.2 della motivazione (sia pure con riferimento alla competenza legislativa regionale), nell’ambito del potere statutario comunale sulle norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente ed in particolare sulla specificazione delle attribuzioni degli organi occorre enucleare la competenza esclusiva dello Stato in materia di organi di governo, e connesse sfere di competenza, che evidentemente non può essere autonomamente disciplinata dal comune neppure in sede statutaria in mancanza di un una norma legislativa statale che ne delimiti l’intervento integrativo. Per cui il potere di specificazione delle attribuzioni degli organi, genericamente rimesso alla potestà statutaria comunale, in considerazione della preferenza per un’interpretazione della norma costituzionalmente orientata, non può che riferirsi agli organi comunali “diversi” da quelli di governo (individuati dall’art. 36, comma 1°, D. L.vo n. 267/2000 nel “consiglio, giunta , sindaco”) e cioè ai dirigenti in genere, al direttore generale (ove previsto), agli incaricati a contratto in qualifiche dirigenziali ed all’organo di revisione.

Sul punto pertanto va integrata la motivazione della sentenza del TAR per aver ritenuto che il potere statutario di specificazione delle attribuzioni degli organi comunali riguardasse in generale le modalità di esercizio delle funzioni, senza distinguere tra gli organi comunali di governo e gli altri organi dell’ente, dovendosi invece il potere di specificazione attualmente riferire solo agli organi comunali diversi da quelli di governo, salvo la facoltà di disciplinare procedure e forme di collaborazione fra i diversi organi di governo (V. Corte cost. n. 379 del 6.12.2004, punto 9 della motivazione, sia pure con riferimento agli organi regionali).

La conclusione di cui sopra è coerente pure con la L.5.6.2003 n.131, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, in quanto entrata in vigore l’11.6.2003 e quindi prima dell’efficacia delle contestate modifiche statutarie, intervenuta il 14.8.2003.

Invero, l’art. 4 , 2° comma , della suddetta legge, nella parte in cui precisa che “lo statuto, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale di attuazione dell’art. 11, secondo comma, lettera p) della Costituzione, stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell’ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare”, va comunque interpretato in senso restrittivo, occorrendo allo stato privilegiare le attribuzioni degli organi di governo stabilite dal D. L.vo n. 267/2000 in considerazione della natura secondaria della normativa statutaria comunale rispetto alle fonti legislative statali e regionali (V. la decisione di questa Sezione n. 2750 del 20.5.2003; Cass., sez. trib., n.10787 del 7.6.2004 e Cass. Sez. 1°, n.16984 del 26.8.2004), salvo le modifiche che dovessero in futuro intervenire per effetto dell’esercizio della menzionata delega conferita al Governo dall’art. 2 L. n.131/2003, che comprende anche la revisione delle disposizioni legislative sugli enti locali.

Nel riferito contesto costituzionale e legislativo, si può procedere all’esame dell’art. 42, comma 2°, lett. e), D. L.vo n. 267/2000 che attribuisce alla competenza del consiglio comunale, enumerandolo tra gli atti fondamentali, la “partecipazione dell’ente locale a società di capitali”.

Il contrasto sostanziale tra le parti può essere così sintetizzato:

-ad avviso del Comune l’espressione “partecipazione dell’ente locale a società di capitali” starebbe ad indicare l’assunzione e la cessione della partecipazione nella società di capitali, ma non ogni decisione in materia di partecipazione azionaria del Comune, per cui sarebbero pienamente legittime le contestate modifiche statutarie in adesione a quanto statuito nella sentenza TAR Campania, sez. 1°, n n.1138 del 9.4.1998, confermata recentemente in appello da questa Sezione con la decisione n. 2699 del 4.5.2004.

-secondo gli appellati, la competenza consiliare non concernerebbe solo l’assunzione di quote societarie ma anche le determinazioni di variazioni e quindi di dismissione che attengano alla partecipazione dell’ente locale a società di capitali, venendo meno nel caso contrario ogni competenza consiliare di indirizzo e controllo politico amministrativo in quanto verrebbe consentito allo statuto comunale di vanificare la competenza del Consiglio sull’assunzione di quote societarie.

Il Collegio ritiene che debba essere condivisa la tesi degli appellati, sia pure con alcune puntualizzazioni.

E’ pur vero che sulla base del nuovo criterio di riparto di competenze tra consiglio comunale e giunta, l’organo elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali, tassativamente elencati nell’art. 42 D. L.vo n. 267/2000, mentre la giunta municipale (v. artt. 48 e 107 del medesimo decreto) ha una competenza residuale in quanto compie tutti gli atti non riservati dalla legge al consiglio o non ricadenti nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o di altri organi di decentramento (V. la decisione di questa Sezione n.1247 del del 5.3.2001, sia pure con riferimento alle analoghe disposizioni di cui agli artt. 32 e 36 L. 8.6.1990 n. 142). Ma ciò non comporta che l’atto fondamentale di competenza del consiglio comunale, come individuato nella relativa disposizione legislativa, debba essere inteso in senso restrittivo sulla base del senso letterale, dovendosi comunque tener conto della ricostruzione logico-sistematica delle attribuzioni consiliari (V., sulla preferenza per tale criterio, anche se poi le conclusioni concrete sono divergenti, la decisione di questa Sezione n.424 del 30.4.1997; le sentenze TAR Puglia, Lecce, n. 317 del 16.1.2004 e TAR Campania, sez. 1°, n. 1138 del 9.4.1998).

Occorre a quest’ultimo riguardo considerare che sono attribuiti in via esclusiva all’organo consiliare tutti gli atti che concernono gli aspetti economico-finanziari dell’ente locale, tra cui i programmi; piani finanziari; bilanci e istituzione dei tributi locali; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e servizi; spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi;contrazione di mutui ; acquisti e alienazioni immobiliari e relative permute, appalti e concessioni (sia pure in quest’ultime due ipotesi solo nel caso in cui non sia espressamente previsto in atti fondamentali del consiglio comunale), come peraltro confermato nel nuovo art. 36 dello statuto comunale in esame.

Ne discende che sarebbe inverosimile da una parte prevedere una determinazione consiliare per la contrazione dei mutui e per gli acquisti e le alienazioni immobiliari e relative permute (che potrebbero ammontare anche a poche miglia di euro ed essere irrilevanti dal punto di vista del perseguimento degli interessi locali) e dall’altra consentire alla giunta, sulla base della modifica statutaria, la scelta delle società di capitali su cui effettuare interventi di variazioni di quote societarie, con la determinazione dell’entità di tali variazioni, e perciò anche se di notevole entità economica e di grande rilievo per la comunità locale.

Né appare plausibile, allo stato attuale della legislazione statale sugli organi di governo degli enti locali, distinguere tra assunzione o dismissione della qualità di socio della società di capitali e variazioni della relativa quota societaria (anche se non determinante ai fini del controllo sulla società) in quanto, in mancanza di specificazioni legislative, una variazione della partecipazione societaria altro non rappresenta che una nuova determinazione di partecipazione con una diversa quota societaria.

Per cui, certamente si può concordare con quanto asserito dal TAR Campania nella menzionata sentenza n. 1138/98 (invocata anche dal Comune e tenuta presente nella predisposizione dei lavori preparatori della riforma statutaria), nella parte in cui ritiene l’espressione “partecipazione dell’ente locale a società di capitali” riferita, in primo luogo, all’acquisizione di una partecipazione societaria con estensione ovviamente al contrarius actus e cioè alla dismissione totale di tale partecipazione. Invece, tale sentenza non può essere seguita nel punto in cui, con riferimento alla variazione della partecipazione societaria, esclude entrambe le tesi estreme: sia quella che riserverebbe all’organo consiliare la deliberazione in ordine ad ogni variazione della partecipazione, in quanto invasiva della competenza gestionale affidata alla giunta; sia l’altra che escluderebbe la competenza del consiglio per ogni variazione della quota azionaria, in quanto verrebbe a sminuire il suo ruolo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo sull’ente. Per cui, conclude nel senso di ammettere la competenza del consiglio non solo per la dismissione totale ma anche per quella che, sebbene parziale, renderebbe irrilevante la partecipazione dell’ente in vista degli obiettivi per i quali è consentita una partecipazione dell’ente locale in una società di capitali, salvo poi a determinare in concreto quando una partecipazione perderebbe tale rilevanza.

Detta conclusione del TAR (confermata in appello con la decisione di questa Sezione n. 2699 del 4.5.2004), concernente peraltro un’ipotesi diversa da quella in esame, essendo allora in contestazione un concreto provvedimento della giunta di dismissione parziale di una partecipazione societaria minoritaria, non può comunque essere valorizzata al punto di consentire all’ente locale di ripartire, con specifica disciplina normativa in sede statutaria, la competenza tra consiglio e giunta sulle variazioni o dismissioni di quote di partecipazione societaria.

Invero, allo stato difetta del tutto un potere statutario comunale di attribuzione di alcune competenze del consiglio alla giunta, atteso che la disciplina legislativa assegna direttamente all’organo consiliare, tra l’altro, le determinazioni sulla partecipazione dell’ente locale a società di capitali, a prescindere dal tipo e dall’entità delle stesse, con estensione implicita anche alle variazioni di quote societarie.

D’altra parte, la modifica statutaria in esame, anche se integrabile con l’art. 2359 c.c. secondo quanto rilevato dal Comune, affiderebbe comunque alla giunta, sia pure nell’ipotesi in cui non venga alterata formalmente la posizione di controllo dell’ente locale, un notevole potere di scelta delle società di capitali su cui variare la partecipazione, aspetto che è particolarmente delicato per i comuni di grandi dimensioni in relazione alle diverse partecipazioni societarie da essi detenute (V., per le dismissioni di partecipazioni statali in società per azioni, le cautele previste dall’art. 66 L. 23.12.1999 n. 488), con ampia facoltà di incidere in modo autonomo su posizioni di controllo sostanziale (ad es. sulla base di patti parasociali, sui quali V. Cass. sez. 1°, n.14865 del 23.11.2001 ed art. 122 D. L.vo 24.2.1998 n. 58 e successive modificazioni) o sulla qualifica di società a prevalente capitale pubblico o a capitale interamente pubblico con riferimento all’insieme degli enti pubblici partecipanti (V. art. 113 e 113 bis D. L.vo n. 267/2000 e successive modificazioni), il che collide evidentemente con gli ampi poteri attribuiti dalla legislazione statale al consiglio sugli aspetti economico-finanziari dell’ente locale.

Nè vale sostenere da parte dell’appellante che la modifica statutaria non escluderebbe il potere di indirizzo e controllo strategico assegnato al consiglio comunale, in quanto eventuali indirizzi di carattere generale non potrebbero ridimensionare le nuove attribuzioni conferite alla giunta, occorrendo invece allo scopo un preciso atto del consiglio sulle iniziative da assumere su una specifica partecipazione societaria (criteri, tempi e modi della variazione di una determinata quota di partecipazione societaria), considerato che la competenza della giunta in tale settore non è stata condizionata ad un atto del genere, che avrebbe dovuto essere invece espressamente previsto (arg. ex art. 42, 2° comma, lett. h) ed f) , D. Lvo n.267/2000) al fine di rendere attuativo il suo l’intervento. Aspetto quest’ultimo che non è stato approfondito dalla sentenza appellata, per cui la relativa motivazione va integrata anche su tale punto.
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