GELASIO E L'ALBA DEL POTERE TEMPORALE DEL PAPATO

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BRESCIAGGHER
00sabato 20 maggio 2006 22:32
Quando papa Gelasio I (492-496) scrisse all'imperatore bizantino Anastasio I che il potere sacro dei vescovi era superiore a quello temporale dei re, non lo fece certamente col proposito di ribadire il valore della sacra diarchia (cioè l'equivalenza dei poteri), ma piuttosto con quello di affermare il primato della chiesa sullo Stato e, in particolare, quello della sede romana su tutte le altre.

Ciò che infatti Gelasio non riesce a spiegare è il motivo per cui l'imperatore, essendo costituito per diritto divino, debba dipendere dai vescovi nelle questioni religiose (al massimo avrebbe dovuto dipendere dai concili ecumenici o universali, come d'altra parte tutti i vescovi).

Gelasio si serve della specifica competenza dei vescovi in materia di fede (cui allora peraltro non erano estranei neppure i responsabili laici delle istituzioni, essendo tutti educati sin da piccoli al cristianesimo), per sostenere che l'imperatore, non avendo uguale competenza, deve considerarsi subordinato alla chiesa.

La chiesa romana dunque -stando alla posizione di Gelasio- si sentiva tenuta a rispettare le leggi imperiali solo nella misura in cui l'imperatore ammetteva la propria subordinazione alla volontà pontificia. La religione -qui è già chiarissimo- veniva usata come uno strumento di tipo politico.

La questione per Gelasio non era di merito (nel senso che su talune cose gli imperatori potevano anche manifestare opinioni eterodosse o discutibili), ma era di metodo: qualunque affermazione dell'imperatore acquistava un valore solo s'egli preventivamente manifestava obbedienza al pontefice. (In verità Gelasio parla di "vescovi", ma poiché già vigeva la teoria della superiorità di quello romano, le conseguenze era poi facile tirarle).

Nella concezione teologico-politica di Gelasio non c'è (come invece in quella di tanti teologi bizantini) la convinzione che i due poteri divini siano equivalenti o paritetici.

In Europa occidentale si comincerà a parlare di tale diarchia solo a partire dall'epoca comunale, quando impero e chiesa romana erano già fortemente in crisi, e ne parleranno solo gli anticlericali (p.es. Marsilio da Padova, Dante Alighieri…), convinti di aver elaborato un principio innovativo.

Secondo Gelasio l'imperatore non poteva assolutamente intromettersi nelle questioni di fede, cioè doveva rinunciare a priori al suo diritto di cittadino-credente (diremmo oggi) di esprimere pareri e opinioni in campo religioso (lasciando poi la decisione ultima a un Concilio cattolico). Egli doveva svolgere unicamente la sua funzione di longa manus della chiesa.

Gelasio chiedendo ai credenti di obbedire all'imperatore solo in quanto fiduciario della chiesa, poneva le basi dell'uso politico dell'arma della scomunica.

fonte:homoòaicus
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