LA GRAZIA, LE VITTIME, E IL MODO CHE OFFENDE

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INES TABUSSO
00giovedì 1 giugno 2006 18:32
CORRIERE DELLA SERA
1 giugno 2006
Firmata la grazia Bompressi è libero
Il sì di Napolitano, ora attesa per Sofri L’ex ministro Castelli: ingiustizia è fatta

ROMA - Una decisione così rapida del presidente della Repubblica forse non se l’aspettava neanche il diretto interessato. Eppure ieri sera, al termine di una giornata densa di atti formali, il decreto per la concessione della grazia a Ovidio Bompressi aveva terminato il suo iter. È successo tutto in poche ore: già di mattina, dal ministero della Giustizia partiva per il Quirinale il decreto predisposto dal Guardasigilli; nel pomeriggio, la firma del capo dello Stato; di sera la controfirma di Clemente Mastella che ha poi commentato «la vicenda umana di Bompressi»: «Non può esserci giustizia senza grazia». Da quel momento, Ovidio Bompressi, condannato a 22 anni insieme ad Adriano Sofri e a Giorgio Pietrostefani per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, ha iniziato a godere degli effetti dell’atto di clemenza voluto da Carlo Azeglio Ciampi e perfezionato da Giorgio Napolitano: pena residua condonata mentre rimane l’interdizione dai pubblici uffici.

IL PERCORSO - Il capo dello Stato ha poi precisato le ragioni di una decisione tanto rapida, maturata dopo la sentenza della Corte costituzionale che il 3 maggio ha confermato il potere esclusivo del Quirinale in materia di concessione della grazia. Napolitano, intervenuto a Palazzo Giustiniani alla presentazione di un volume su Luciano Lama, ha chiarito quale è stato il percorso seguito dopo la decisione della Corte che ha annullato la lettera con cui l’ex ministro Roberto Castelli (Lega) si era opposto alla decisione di Ciampi: «Il decreto di grazia per Bompressi è stato predisposto dal ministro della Giustizia, la questione è stata ripresa al punto in cui era stata interrotta l’8 novembre del 2004 con la lettera del presidente Ciampi».
Napolitano ha spiegato perché si è dovuto muovere così celermente dopo la nota sentenza della Corte: «Perché il presidente della Repubblica aveva chiesto al ministro di predisporre il decreto di grazia per Bompressi. È stato fatto e io l’ho immediatamente firmato». Di più, il capo dello Stato ha sottolineato l’effetto innovativo scaturito dalla sentenza del 3 maggio: «Il decreto non è giunto già controfirmato dal ministro della Giustizia, è giunto per la firma del presidente della Repubblica e poi è stato restituito al ministro della Giustizia perché lo controfirmasse».
Le vicenda richiama quella di Adriano Sofri il quale, a differenza di Bompressi, la grazia non l’ha mai chiesta. E stavolta il capo dello Stato è apparso cauto: «Attendiamo quale seguito voglia dare il ministro agli annunci ("Per Sofri grazia entro l’anno", ndr ) e poi verrà il momento della decisione che spetta a me». Quella per Sofri, sarebbe «una grazia d’ufficio», ricorda il difensore dell’ex leader di Lc, Alessandro Gamberini: «E di fronte a una grazia d’ufficio occorre che l’impulso annunciato da Mastella si materializzi con un’istanza che venga presentata dal ministro davanti al presidente della Repubblica». Per sbloccare la posizione dell’ex leader di Lc i tempi non sono brevi. Il fascicolo Sofri, a suo tempo bloccato dal ministro Castelli, deve essere aggiornato magari con nuovi pareri del magistrato di Sorveglianza di Pisa e della Procura generale di Milano: «È una vicenda più complessa che richiederà un po’ di tempo», ha detto un Mastella più prudente rispetto agli annunci di martedì.


LE REAZIONI - La decisione di Napolitano è stata accolta da un coro di consensi nel centrosinistra, da Fausto Bertinotti a Roberto Villetti, da Marco Boato e Franco Corleone. «Decisione saggia, ora mi auguro la grazia a Sofri», ha commentato Piero Fassino. Mentre il prodiano Franco Monaco non ha dimenticato un distinguo: «Abbiamo il dovere di fare grata memoria del commissario Calabresi, un esemplare servitore dello Stato vittima di un cieca violenza. Perché la grazia non può sacrificare l’oblio. Semmai il contrario».
E anche nella Cdl non c’è unicità di giudizio: se Maurizio Gasparri (An) parla di «aperitivo per la grazia a Sofri», Sandro Bondi (FI) loda Napolitano: «Sono da sempre favorevole alla grazia per Sofri. Vorrei però che questo provvedimento fosse l’atto iniziale di una riconciliazione nazionale». Chi invece non l’ha mandata giù è l’ex ministro Castelli che, prima di esser smentito dalla Corte, ha esercitato un veto sui poteri presidenziali: «Ingiustizia è fatta. Napolitano non è il presidente di tutti. La sinistra classista e radical chic mette fuori gli amici e lascia dentro i poveracci». Ironica la replica di Mastella: «Si occupi meno di giustizia, altrimenti la sua diventa un’ossessione, un supplizio mentale».
Dino Martirano



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Il coro a favore è così assordante da far apparire le obiezioni quasi provocatorie. Eppure ci sono; e contraddicono la tesi secondo la quale il decreto col quale Giorgio Napolitano ha graziato Ovidio Bompressi sarebbe stato accolto come un gesto «di civiltà giuridica» e di «pacificazione». L’asse fra il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, e il capo dello Stato ha funzionato con rapidità inusuale. E la sinistra già si spinge ad indicare il prossimo passo: la grazia ad Adriano Sofri. I due esponenti di Lotta continua condannati a 22 anni per l’assassinio del commissario Luigi Calabresi tornerebbero così liberi, uscendo da un labirinto processuale che dura da 18 anni. Il fatto che Sofri, al contrario di Bompressi, non abbia chiesto la grazia, e anzi la rifiuti, ad alcuni sembra un ostacolo secondario. Il segretario dei Ds, Piero Fassino, commenta la «decisione saggia a cui mi auguro possa seguire in tempi brevi» quella per Sofri. Lo stesso presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ex segretario del Prc, dice in modo irrituale che la grazia per Sofri, mandante dell’omicidio, è «matura»: anche se «non tocca a me dirlo né preconizzare dei percorsi», si premura di precisare. Nelle loro parole, come in quelle di Verdi e comunisti, manca un qualsiasi cenno alla vittima. Ma il prodiano Franco Monaco ricorda «il dovere» di gratitudine verso il commissario Calabresi.
La sottolineatura sembra dar voce alla perplessità di una parte dell’Ulivo, e forse di Palazzo Chigi, per i toni trionfali usati a sinistra; e per lanciare un messaggio di solidarietà alla famiglia Calabresi, che sarebbe amareggiata per alcune dichiarazioni di Mastella su Sofri. Tra l’altro ha suscitato perplessità il fatto che abbia saputo la notizia soltanto dalle agenzie. Su Sofri, comunque, Napolitano appare prudente. Ieri si è limitato a spiegare di avere «immediatamente firmato» il decreto preparato per Bompressi. Per Sofri, invece, «attendiamo quale seguito il ministro Guardasigilli voglia dare agli annunci» dei giorni scorsi. Mastella aveva annunciato il provvedimento entro l’anno. Ieri ha precisato: «Ci vorrà un po’ di tempo».
D’altronde, il braccio di ferro fra l’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, e l’ex ministro leghista Roberto Castelli su chi avesse il potere di grazia, si è conclusa solo il 3 maggio scorso. E la Corte costituzionale ha dato ragione a Ciampi, che voleva graziare Bompressi da tempo. Ma la pratica Sofri sarebbe ancora in alto mare. Il ministro diessino Vannino Chiti sottolinea la «continuità e coerenza» di Napolitano rispetto al predecessore. È anche un modo per allontanare dal capo dello Stato l’accusa di parzialità, che arriva puntualmente dal centrodestra. An e Lega attaccano la decisione del Quirinale.
Il partito di Gianfranco Fini si dispiace che sia stato «il primo atto» di Napolitano. I lumbard vanno oltre. Ripetono che «non è il presidente di tutti», e sostengono che «ingiustizia è stata fatta». Eppure, lo stesso centrodestra non è così compatto. Dentro FI, il provvedimento a favore di Bompressi viene valutato positivamente: potrebbe aprire la strada ad un’amnistia, si osserva. Ma l’associazione delle vittime del terrorismo è indignata. «Le lobby politiche favorevoli alla liberazione di Sofri hanno vinto», sentenzia il presidente, Bruno Berardi. L’Italia è diventata «un’isola felice per criminali e terroristi impuniti». Sono indizi di una pacificazione tuttora non condivisa.



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L’amarezza dei Calabresi: neppure una telefonata
La vedova ha saputo della svolta dai giornali. Il «rispetto per le decisioni del Quirinale»
ROMA - «Almeno una telefonata per avvertire...». Dopo diciotto anni, e ben altre violenze, a certi piccoli sgarbi dovrebbe essere abituata. Dovrebbe. Invece la cosa che più ha colpito Gemma Capra vedova Calabresi, raccontano, è stata proprio quella: aver saputo da un’intervista (martedì) della clemenza del guardasigilli Clemente Mastella; sapere dalle agenzie (ieri) della grazia del presidente Giorgio Napolitano. «Nessuno che l’abbia avvisata di quel che stava succedendo. Neanche cinque minuti prima». Disappunto, più che rabbia. Perché nella famiglia del commissario ucciso non passa per disgrazia, questa grazia a Ovidio Bompressi. E si sa che a certe condizioni - leggi: il rispetto della verità giudiziaria - i Calabresi non hanno mai avuto un atteggiamento di chiusura verso drammi personali, psicologici, di salute. Il commento, perciò, è di dispiacere per i modi. E, come sempre, un impenetrabile silenzio nel merito: «In questi anni abbiamo scelto questo profilo - riecheggiano vecchie dichiarazioni - e anche oggi ribadiamo questa volontà, nel rispetto delle sentenze della magistratura e delle decisioni del presidente della Repubblica».
Silenzio della famiglia, silenzio sulla famiglia: a parte due voci isolate di un dipietrista e di un esponente della Margherita, a parte il «pensiero» del segretario udc Cesa, fra tanti evviva e un affannarsi d’abbracci non c’è politico che spenda una parola per Gemma e i suoi figli, Mario e Luigi, «un bell’esempio di senso civico e di sensibilità, questa loro scelta di non ostacolare un provvedimento di clemenza che sicuramente ha riaperto antiche ferite» (Fabio Evangelisti, Italia dei Valori).
Si valutano le prospettive, così. S’allarga la discussione all’amnistia. Forse, c’entra il fatto che tutti ormai considerino questa grazia «un atto dovuto e non un atto politico», spiega Luigi Li Gotti, avvocato dei Calabresi e oggi sottosegretario del guardasigilli Mastella: «Non c’erano alternative, per Napolitano. Ciampi aveva manifestato documentalmente l’intenzione di concedere la grazia e dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 24 maggio, finito il confronto col ministro Castelli, era l’unica via percorribile. Questa è solo la conseguenza della decisione della Consulta, che ha ribadito la prerogativa esclusiva del capo dello Stato di concedere la grazia e ha annullato il veto posto da Castelli».
E Adriano Sofri? Altra storia. Anche lì, la posizione di Gemma Calabresi è sempre quella: «Il perdono è un sentimento privato - disse l’ultima volta -, ho educato i miei figli a non coltivare l’odio e il rancore. Se ci venisse chiesto di perdonare, faremmo con convinzione la nostra parte». Però, c’è un però. E ci sarebbe stata anche qualche telefonata, per avere chiarimenti sulle ultime accelerazioni: «Bompressi la grazia l’ha chiesta, Sofri mai - dice Odoardo Ascari, patrono di parte civile nei processi -. E poi Bompressi, dopo la revisione del processo a Venezia, aveva accettato la sentenza e non l’aveva impugnata in Cassazione. Non capisco invece su quali basi il ministro Mastella parli d’una pratica Sofri che si può chiudere in pochi mesi: al terzo piano del ministero della Giustizia, dove sta l’ufficio Grazie, un fascicolo Sofri non mi risulta che ci sia. E allora chi glielo fa fare, al ministro, di anticipare l’appendice d’un procedimento che ancora non è iniziato? Un fuoriprogramma. Personalmente, in sessant’anni di professione forense, non ho mai visto un presidente della Repubblica concedere la grazia motu proprio a un condannato che non la chiede».
Francesco Battistini



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E Mastella ora diventa un’icona della sinistra
L’incontro con le toghe, lo stop alla riforma, la clemenza. E i due sottosegretari legati ai condannati

ROMA - Perfino la lista dei sottosegretari al ministero della Giustizia evocava il caso Sofri e la sua possibile soluzione. Tra i cinque prescelti ce ne sono due direttamente coinvolti in quella vicenda cominciata tragicamente nel 1972, tornata d’attualità con gli arresti del 1988, passata da un’infinità di processi e polemiche che si trascinano ancora. Uno è Luigi Li Gotti, che prima di diventare esponente del movimento di Di Pietro da avvocato (con mai nascoste inclinazioni di destra) ha assistito e assiste la famiglia del commissario Luigi Calabresi, la vittima dei condannati. L’altro è Luigi Manconi, sociologo e politico ieri dei Verdi e oggi dei Ds, ma prima ancora, negli anni della contestazione e della violenza, di Lotta continua, amico dei condannati. Due figure in passato schierate su fronti diversi se non opposti, che si ritrovano a lavorare fianco a fianco nella stessa istituzione. E che danno l’idea della possibile conciliazione di posizioni un tempo distanti. L’avvocato che ha sempre sostenuto la colpevolezza degli imputati e sull’atto di clemenza non esprime ostilità, rimettendosi alle prerogative del capo dello Stato; l’ex di Lc che firmava appelli in favore degli accusati senza negare la «campagna d’odio» contro Calabresi condotta anche dal suo gruppo, e da quando le condanne sono definitive sostiene la causa della grazia.
Tutto questo accade nell’Italia che ha voltato pagina anche cambiando il ministro della Giustizia, e che a quel dicastero ha ora il più democristiano tra i ministri del governo di centrosinistra, Clemente Mastella. Il quale nelle prime due settimane ha mostrato un’immagine che rischia di trasformarlo in un’icona (almeno per il momento) della sinistra, «giudiziaria» e non solo, molto più di altri colleghi ufficialmente targati con quell’etichetta. Perché il suo primo atto è stato l’incontro con l’Associazione magistrati; perché ha annunciato il rinvio dell’entrata in vigore della riforma-controriforma dell’ordinamento giudiziario; perché nella scelta della squadra ha pescato in tutte le correnti della magistratura. E adesso perché in pochi giorni ha sciolto un nodo che il suo predecessore Roberto Castelli aveva ingarbugliato sempre più per cinque lunghi anni: la grazia a Ovidio Bompressi, primo gradino per quella eventuale ad Adriano Sofri. Il terzo condannato, Giorgio Pietrostefani, s’è autoescluso con la latitanza.
«Finché sarò io ministro credo che non avranno la grazia», aveva detto Castelli in capo a tante altre motivazioni (di volta in volta diverse) portate a motivo del suo diniego, facendone quasi una questione personale. L’ostacolo insomma era lui e, una volta rimosso, il suo successore Mastella non ha fatto altro che dare esecuzione a qualcosa che solo il veto dell’ex ministro (illegittimo, secondo la Corte costituzionale) aveva bloccato.
Il provvedimento di ieri porta la firma di Giorgio Napolitano, ma è il perfezionamento di una pratica messa in moto da Carlo Azeglio Ciampi. Dopo il verdetto della Consulta che aveva annullato la lettera di rifiuto vergata da Castelli, rimaneva in vita la richiesta dell’ex presidente della Repubblica di proporre il decreto di grazia per Bompressi. Napolitano poteva dissociarsene, ma non l’ha fatto. A quel punto la palla era al nuovo Guardasigilli, Mastella. Il quale poteva esprimere il proprio dissenso, pur trasmettendo la pratica al Quirinale, oppure dare corso alla richiesta di Ciampi, aderendo al suo contenuto. Ha scelto la seconda strada, facendo tornare semplici le cose complicate da chi prima sedeva al suo posto.
Al di là delle implicazioni politiche che una simile vicenda porta con sé, Ovidio Bompressi era un detenuto che i medici avevano dichiarato incompatibile con il carcere. In cella s’era ammalato, e i giudici l’hanno messo fuori; fuori è stato meglio, e quindi i giudici l’hanno rimesso dentro; ma dentro s’è ammalato di nuovo, quindi è riuscito. Ovvio che questa altalena non poteva continuare all’infinito. Ecco allora la soluzione della grazia, visto che nel frattempo - nell’interpretazione dello stesso Ciampi - altri fatti avevano bilanciato il gesto di clemenza: l’attribuzione della medaglia d’oro alla memoria del commissario Calabresi, e prima ancora la sentenza della Corte europea per i diritti umani che sanciva il rispetto delle regole nelle condanne a Sofri e compagni. Nessun rischio di offesa alla vittima, dunque, né di sconfessione dell’operato dei giudici. Ogni tessera era al suo posto, tranne la firma negata dal Guardasigilli. Fino a ieri.
Giovanni Bianconi



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L’INTERVISTA
D’Ambrosio: pena inutile, lui è un altro uomo
MILANO - Senatore Gerardo D’Ambrosio, ha guidato la Procura che ha indagato sull’omicidio Calabresi. Cosa pensa della grazia a Bompressi? «Non sono mai contrario alla grazia quando si tratta di fatti accaduti in un periodo storico superato, di uomini che non hanno più commesso reati e hanno maturato una personalità completamente diversa. In questi casi la pena è ingiusta e inutile».
Perché?
«La pena, dice la Costituzione, deve servire alla redenzione del reo. Se la persona ormai convive degnamente nella società, a cosa serve che stia in galera? E poi mi pare che la famiglia della vittima non si sia espressa contro la grazia, per cui non vedo quali ostacoli ci potessero essere ancora. Così si comincia a chiudere un periodo storico, senza dimenticare che per altri delitti, anche efferati, commessi ad esempio dalle Br, ci sono stati dei provvedimenti per ridurre le pene che hanno sicuramente agevolato una conciliazione generale».
Dopo Bompressi, Sofri, ma non ha chiesto la grazia.
«La potrebbero chiedere altri per lui. Ora la sua situazione potrà essere vista sotto un’angolazione diversa».
Come pensa si senta il pm che chiese e ottenne le condanne?
«Credo non ci sia recriminazione. La magistratura ha fatto il suo lavoro, è arrivata alle sue conclusioni, ha inflitto le condanne, parte delle quali sono state anche scontate. La grazia non ha nulla a che vedere con la colpevolezza. Non è una revisione del processo, anzi presuppone che la persona sia colpevole. Ritengo che era giunto il momento per un provvedimento che, non a caso, si chiama di clemenza».
Nessuna manovra politica?
«La politica non c’entra niente. Si tratta di una prerogativa che spetta al capo dello Stato. Se fosse arrivata prima la pronuncia della Corte costituzionale, il provvedimento sarebbe stato firmato da Ciampi. La grazia era era nell’aria e sarebbe arrivata comunque».
Giuseppe Guastella



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LA STAMPA
1/6/2006
POLITICA
Napolitano telefona alla vedova Calabresi
Mastella si scusa con la famigli calabresi per non averla avvertita

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha avuto una cordiale conversazione telefonica con la Signora Gemma Calabresi, ragguagliandola sulla decisione presa di firmare il decreto di concessione della grazia a Ovidio Bompressi. Nel corso del colloquio telefonico il Presidente ha rinnovato i sentimenti di solidarieta' e di profondo rispetto per la memoria del Commissario Luigi Calabresi. Lo rende noto un comunicato del Quirinale.

MASTELLA, SCUSE AI CALABRESI PER NON AVERLI AVVERTITI
Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, si è scusato conla famiglia Calabresi per non aver telefonato per comunicare in anticipo la notizia della grazia concessa a Ovidio Bompressi. È stato lo stesso Guardasigilli ad dirlo alla Rai, a Lussemburgo dove si trova per il consiglio Giustizia. Alla famiglia, ha affermato, «chiedo scusa se, come leggo dai giornali, non c'è stata l'idea di telefonare per anticipare quello che sarebbe stato il gesto di clemenza che si sarebbe determinato proceduralmente. Ma non c'è stata cattiva intenzione».

Parlando della possibilità della grazia ad Adriano Sofri, Mastella ha ribadito: «non mi nascondo la complessità del caso, anche in relazione alla famiglia» Calabresi. Il Guardasigilli ha inoltre sostenuto che «al momento in cui si dovrà definire la vicenda Sofri è giusto continuare a esprimere rispetto nei confronti dei famigliari del commissario Calabresi. Vedremo quale sarà questo rispetto, e con quali modalità».

Il ministro ha concluso sottolineato che «la grazia è sempre un fatto eccezionale, non è una cosa che si decide quotidianamente, altrimenti non sarebbe definita dalla Costituzione in termini di eccezionalità. Vedremo quanto tale questione resterà in piedi. Spero la si possa risolvere positivamente ma sempre tenendo conto di quanto dolorosamente espresso dalla famiglia Calabresi».

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